Francesco Sciuto. Un ponte ideale per rimanere umani. A cura di Rosalda Schillaci
La
linfa poetica di Francesco Sciuto ha affondato radici profonde, donando frutti
anche dai ritrovi culturali, dai cenacoli più prestigiosi come il centro
culturale “Marranzatomo”.
L’incontro
con Antonino Magrì, poeta e scrittore di alto spessore che mi onoro di avere
anche io tra i miei amici, lo ha avvicinato alla lingua madre, facendogliene
apprezzare la dolcezza e la musicalità. Nel centro culturale di Antonino Bulla
ha appreso l’uso dell’ottava siciliana e del sonetto.
Maestri
di poesia e di vita, dunque, dai quali Sciuto impara a essere a sua volta poeta
e scrittore di commedie dialettali, dall’attività prolifica e inesausta.
La biografia di Sciuto lo racconta pittore
edile che, caparbiamente, solo nei ritagli di tempo ha potuto dedicare spazio
agli studi. Così come è avvenuto per Giuseppe Nicolosi Scandurra, poeta
contadino e per Giovanni Formisano, commerciante. Mi lega a Sciuto, a mia
volta, una grande amicizia nata, anche la nostra, in ritrovi culturali dove
abbiamo avuto modo di ascoltare le nostre poesie e dove ho imparato a
conoscerlo attraverso i suoi scritti. Esempi di incrollabile coerenza, numerosi
lavori che mi fanno fatto imparare a conoscere ancora di più il volto umano dell’amico:
“A famigghia Casagrande” farsa popolare del 2002; “A camula” del 2004; “Notti
di Natali” del 2005; “Matrioska” commedia dialettale del 2017; tutti dati alle
stampe per le edizioni MarranzAtomo.
In
essi l’autore, da spigliato e attento indagatore dei costumi siciliani e
catanesi in particolare, ritrae personaggi puri, ma anche dal cuore di pietra;
irrompe nell’andirivieni di ciò che è ambiguo e intoccabile, riuscendo a
indagare vizi e virtù. Dal suo spirito
mordente nascono fusioni di storie attinte da vite troppo minute per farne un
romanzo, ma che lui narra in commedie che, tra il serio e il faceto, spingono a
sollevare maschere e guardarsi dentro.
Profondo
il suo rispetto nei confronti di una tradizione di grandi scrittori nostrani,
che la Sicilia delle vecchie foto e pellicole in bianco e nero sa bene
raccontare. Autori che pur guardando al passato come una fonte illustre alla
quale abbeverarsi, tuttavia hanno saputo tracciare e percorrere strade nuove,
facendo dell’isola una metafora, rendendola emblema e paradigma, un panorama
denso di nuove visioni. Grandi nomi del Novecento quali: Verga, Martoglio,
Capuana, Tomasi di Lampedusa, Pirandello, per arrivare ai più coevi: Sciascia,
Giuseppe Fava e Vincenzo Consolo; tutti tesi a definire i chiaroscuri di
un’umanità tracciata con magnifiche intuizioni. Una Sicilia coesa e forte che
oggi non è più la stessa, ma che è così come è diventata proprio grazie alle
sue radici e a chi ha saputo guardare oltre.
Sciuto
nelle sue pubblicazioni penetra con spigliatezza esistenze e disegna con brio
personaggi che, tra l’ironia e il grottesco, animano la scena. Con grande
vivacità d’ingegno riesce ad apportare nuova linfa all’immortale arte teatrale,
nutrendosi e facendo propri quei valori esistenziali universali, antico
retaggio lasciato in eredità dai nostri avi. Il popolo siciliano che nel corso
della sua storia ha subito ben tredici dominazioni straniere ha acquisito un grandissimo
bagaglio da cui egli attinge a piene mani.
Questa
la linea guida tracciata da lui stesso in “Lu
tiatru di la vita” per chi si appresta a leggere le sue opere:
Unni
si soffri si cercunu santi,/ unni c’è l’alligrizza si è cuntenti,/ unni c’è
amuri ci su ziti e amanti,/ unni ci su dinari li putenti./ Però la sorti non è
mai custanti/ e va ‘mmiscannu carti priputenti,/ e nui, comu pupiddi tiatranti,/
li parti ni scanciamu eternamenti.
In
questi versi Francesco Sciuto racchiude magnificamente quello che per lui è il
senso stesso del teatro; una vera e propria dichiarazione di poetica, dunque,
che rende possibile al lettore approcciarsi con cognizione ai suoi testi. Così
l’arte tersicorea, tanto imprevedibile, gioca con le vite dei più deboli e dei
più forti, mischiando come fossero carte i destini di persone e personaggi, in
una danza caotica; al contempo lo spirito dionisiaco arriva alle visioni
profonde di chi si confronta con l’incertezza della vita, cercando uno
spiraglio di felicità in verità che vadano al di là dei ruoli.
È
la filosofia insita nell’essere umano, ma soprattutto in noi siciliani che
affiora sempre nelle sue parole, nelle poesie e nelle commedie.
Uno
sguardo che ricerca il senso della vita, attraverso i suoi personaggi riusciamo
a muoverci osservando l’uomo nella sua umanità, nelle imperfezioni, nelle
fragilità; il tutto sempre con un sorriso sulle labbra.
Sciuto
è legato in modo viscerale al valore della famiglia e si avverte nel modo di
approcciarsi delle dinamiche e ancora una volta in questa sua ultima fatica
letteraria.
“È puramente casuale” è il titolo del suo
lavoro teatrale, dato alle stampe nel 2018. La commedia, ambientata ai giorni
nostri, si snoda attraverso il personaggio di Carlo, scrittore incompreso,
all’inizio financo dalla stessa moglie Enza. Ma è nella genesi e nello sviluppo
della storia che Carlo da vero deus ex
machina usa la fantasia e la realtà che lo circonda come in un gioco di
specchi, dove ogni personaggio attraverso le proprie azioni e parole disvela
non se stesso bensì l’altro.
Nulla accade per caso:
così nella verità svelata del demiurgo, anche se attraverso l’artificio
letterario, quella che si rivela essere la verità controcorrente,
prepotentemente affiora nella liturgia dei fatti accaduti e reclama finalmente
una nemesi. L’intelletto vanifica l’ipocrisia e il terreno fertile di bugie e
silenzi attorno a personaggi dalle anime torbide, come il compare Pisapia, ma
anche tanto pure e ingenue come l’esilarante Ignazio (giovane campagnolo alle
dipendenze di Carlo) che cade tra le braccia di Dioniso (quello stesso Dio del
vino e del teatro che parla attraverso gli uomini)
L’inconscio
di uno scrittore apparentemente inventa, in realtà diventa un cronista che
rinuncia volontariamente a tacere di fronte a misfatti inaccettabili.
Così
parla Carlo: “a’ realtà superau ’a fantasia. […]
E
ancora: “uno scrittore si lascia
trasportare dalla fantasia e mette in luce, “casualmente” delle verità
nascoste.”
La
voce di Enza sua moglie è schietta e perentoria, quando lo redarguisce malgrado
sia di carattere docile: “Si po sapiri
chi malanova scrivisti, ca ci facisti ’nsalaniri ’u ciriveddu a to’ figghiu e a
’dda povira carusa?”
Ed
ecco la risposta: “Chi scrissi?… Scrissi
’na storia comu tanti, cosi ca ponnu capitari, ca nuddu sapi o non voli fari
sapiri pi virgogna o pi minacci. Quantu omicidi, quantu viulenzi non venunu
dinunziati, e l’essiri umanu diventa vittima e carnefici d’iddu stissu senza
aviri nudda giustizia.
[…]
No! Certi cosi non si ponnu accittari,
pirchì è contro ogni moralità e ju, a conoscenza di tutto, non mi pozzu stari
mutu.”
La
febbre dello scrittore, in un crescendo, si esercita sulle vite ferite che lo
circondano con una incisività che non lascia scampo ai colpevoli. I suoi occhi
vivi, intelligenti e scrutatori all’inizio sembrano dire “si dice il peccato,
ma non il peccatore” ma intanto sembra pensare fra sé e sé “chi ha orecchie mi
ascolta”.
È
tutta impregnata dell’arte di arrangiarsi, della diffidenza, dell’umorismo, ma
anche del senso alto del valore della famiglia, il rispetto per i morti, la
sacralità dell’amicizia.
Ruotano
attorno a lui i vari personaggi: il figlio Fabio, fidanzato con Anna sorella di
Giovanna, figlie entrambe di Pisapia, padre bugiardo e machiavellico.
Una
commedia piena di speranza, tuttavia in fondo amara per i temi che vi si
trattano. Lo stile semplice incalza, divenendo una sottile lama che si insinua
per permettere di riconsiderare alcune esistenze declinate al dolore e al
sopruso. Decisivo al riguardo è il maresciallo persona acuta e perspicace,
amico di Carlo.
“È puramente casuale” si rivela essere non
solo un semplice titolo e anche una dicitura che pacifica l’animo di ogni
editore e scrittore; un parafulmine contro ogni obiezione mossa da chi si senta
citato in opere a cui si potrebbe non volere prestare consenso per la
pubblicazione. All’interno del testo si rivela una scelta sorprendente per
innestare la soluzione di una matassa intricata. Diventa un espediente
necessario, vero e proprio filo d’Arianna, per uscire fuori da un misterioso
fatto di cronaca rimasto insoluto per anni.
In
questa commedia viene spazzato via il concetto di “omu di panza” che per una
serie di circostanze storiche e ambientali doveva e sapeva trattenere i segreti
per sé. L’omertà era quasi innata, non perché si favorissero delinquenti o
assassini, ma per paura di ritorsioni si sceglieva spesso di tacere solo per il
quieto vivere.
Sciuto
si muove con maestria in un mondo che spera in un futuro migliore, ancora una
volta orchestra: detti popolari, guizzi, trama di colori. Tratta con tinte
delicate temi scottanti. Parla ai cuori semplici e agli uomini sensibili,
infondendo uno spirito di giustizia: un ponte ideale per rimanere umani.
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