Luccio Privitera – Io, un altro. A cura di Rosalda Schillaci

 

Fin dalla dedica Luccio Privitera, autore della silloge Io, un altro – Edigraf, rivela un animo sensibilissimo: A mio padre Isidoro, a mio figlio Isidoro […] L’uno lo specchio della mia vita, l’immagine di ciò che rimane, la religione del lavoro del ceppo della mia generazione; l’altro il riflesso del bene che desidero, del buon esempio, della giusta valutazione delle cose per fare migliore il Mondo di domani, anche quando la mia presenza umana rimarrà in Lui soltanto come proiezione memorabile di me padre […]

Affiora tutta la bellezza degli affetti cari, in quest’uomo gentile nato il 24 novembre del 1948. Laureatosi giovanissimo in Giurisprudenza, ha sentito presto nella sua mente brulicare la Poesia.

Sono 49 le poesie contenute in questo libro pubblicato nel lontano 1976 e di cui sono venuta in possesso grazie alla generosità dell’autore. È riservato, timido, curioso e amante dell’arte Luccio Privitera, sposato con la pittrice inglese Linda Higginson. Circondato dall’Amore e dai dipinti s’immerge nei colori, nelle note e nei versi. Li cesella senza inutili voli pindarici, convincendoci che la Poesia ha le sue radici principali nella realtà, nella verità, su cui fantasia, invenzione, sogno, trasporto musicale e pittorico, compiacenza sentimentale ed esaltazione memoriale, senso del mito e profezia, invocazione e preghiera, disperazione e bestemmia, s’inceppano e si abbarbicano, ma senza la cui linfa divengono solamente e miseramente apparenze illusorie di vanità, di debolezza caratteriale, di puerilismo permanente, come spesso abbiamo modo di riscontrare nella produzione corrente delle raccolte liriche anche fra le più pubblicizzate.[…] Così veniamo introdotti al mondo poetico dell’autore, con l’accurata prefazione di Vincenzo Di Maria.

Ma è da subito evidente nel Breve discorso sulla Poesia l’afflato del poeta: La vita del poeta / palpita, io dico, […] Quante volte hai contato le stelle? / Distratto viandante, / ascoltato il suono dei venti, / per te solo colori e suoni, mentre / il poeta ne vive la concreta realtà / e canta, col cuore sulla carta. […]

Ci conduce egli stesso nel viaggio intrapreso sulla rotta ideale/ che non è cielo, né terra/ e non è mare… È Amara Realtà quando vede con i propri occhi il vero inferno sulla terra. Il linguaggio scabro e diretto, quando assiste allo scempio della guerra. E pensa ai deboli, al calvario di madri e piccoli orfani ai bimbi senza giochi, alle ferite dei popoli piegate a tratti d’ombra;/ un finimondo in rapide sequenze/ artiglieria, morti, città falciate/ storia di popoli vilipesa;/ sembra ingenua baldoria / e solo giuochi di bambini/ ma è la guerra/ che tarla, rinnega/ corrode, avvilisce, distrugge/ Vero inferno/ […] Ancora è realtà feroce/ e sta coniugando / in maniera incompleta / il verbo vivere.

Nell’indignazione del poeta che diventa un moto irrefrenabile lo scagliarsi contro falsi araldi/ solo a qualche mendicante di pace, diventa immediatamente un nostro empito dell’anima.

È tanto Luccio Privitera. Nei ricordi e nel rimpianto, riesce a trovare le parole del cuore, semplici ed efficaci e atte a commuoverci. Ed io ricordo (La carcara)

Sospinta a ritroso/l’anima mia s’aggira/ fra i carretti reclini/ sopra la terra d’argilla /impastata con schegge di paglia/ ed urina di mule strapazzate, / nei casotti come presepi di carta/ ora macerati dall’ingratitudine. / Dove nacque mio padre/ resiste solo il colombaio / solo dono superstite / alla ribalta del tempo, / ma lo sguardo non spazia / ed io vi cerco. / Dove siete ora/ Voi che foste dello stesso mio sangue/ vecchie immagini vive in me/ solo qualcosa mi mostra / il segno del vostro passato; / la mia presenza qui. / Poi tutto è diverso; / la campagna sfuocata / nella nebbia senza punte, / l’aria è stagnata e smorta/ e nella melodia incompleta del vento/ non vibra il suono/ delle foglie verdi d’acqua/ solo paesaggio confuso/ del colore d’un frutto già maturo/ e trapassato a terra.

Davvero tanta la bellezza di stile e di sostanza che scuote! Ci avvolge di un’aurea sospesa e visibile a chi ha occhi per vedere, a chi non si lascia indurire dalle mille disillusioni, distrarre da fatui bagliori.  Sfocia così, nella vanità essenziale, solo quanto basta: […] a volere raffigurare / qualcuno e qualcosa, / spingete avanti / il carnevale della vita; /restate al margine del mio pensiero perché / l’oblìo di voi non mi prende. / Tante cose rivedo / racchiuse / dentro un calice / di ombre.

Tra luci e ombre, la ricerca di se stessi, gli istanti ispirativi, l’approccio mai superficiale alla vita. Le suggestioni ricercate nei versi, nella voce limpida delle liriche. In essi, viene riportata una conoscenza approdata dai viaggi attraverso l’Europa e l’America del Nord fino al Vietnam, nel tempo in cui il paese è sfregiato dal conflitto bellico. Passioni e speranze trovano terra fertile, fin dal 1963, una peregrinazione senza fine nella declinazione poetica necessaria a fare sentire la sua voce che affronta la problematica civile del tempo, le irrequietezze e i cambiamenti post sessantottini, il primo passo dell’uomo sulla luna. Nascono così: Il massacro di Kappler, Hippies, Orfano del Vietnam, Alla luna, Migrazioni e tante altre. Un costellato esistenziale che mostra un Privitera mai ripiegato su stesso.

Grande, nell’autore, l’amore per quei poeti - Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo - che legge per creare la sua Poesia. E ancora tanta la produzione letteraria che non ha trovato luce, per quel riserbo pudico mai sconfitto. È per questo che sono felice di essere l’abbrivio per infrangere i confini, delimitati tra lui e una surreale isola nebulosa.

Pur avendo avuto largo seguito, in una cerchia di letterati, mi auguro possa trovare presto spazio in una ristampa lungimirante che dia merito al suo valido talento.

Rosalda Schillaci

 


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